India: avvoltoi al collasso e rischio umano

Eyal Frank e Anant Sudarshan hanno condotto un interessante studio in India che si focalizza su quali siano le conseguenze sociali per gli esseri umani quando delle specie chiave per un ecosistema, come gli avvoltoi oggetto di questo lavoro, vanno al collasso. Le tre specie di avvoltoi indiani considerate sono Gyps tenuerostris, Gyps bengalensis e Gyps indicus.


La scomparsa o la riduzione di specie in generale nei diversi ecosistemi è ormai una ben comprovata realtà evidenziata da sempre più numerosi lavori scientifici. Una pesante responsabilità di questo allarmante fenomeno ricade sulle attività e sui comportamenti umani. Può accadere che specie animali o vegetali scompaiano sotto l’indifferenza e l’inconsapevolezza di molti; genericamente si tende a pensare che questo non ci tocchi più di tanto, tuttavia il lavoro dei due autori si è voluto concentrare proprio su quali possano essere gli effetti negativi di queste scomparse che ci riguardano da vicino e di conseguenza quanto le nostre azioni mirate alla conservazione delle specie possano essere in verità anche un nostro salvagente.

Gli avvoltoi sono uccelli che ricoprono un ruolo cruciale in ogni ecosistema dove essi possono vivere: sono degli spazzini. Si nutrono di carcasse e soprattutto sono in grado di ridurle alle ossa, capacità non presente in qualsiasi altro animale spazzino che in genere lascia tracce di carne. Questa particolare specializzazione trofica degli avvoltoi consente al sistema vita/morte di chiudere un cerchio. Le carcasse di animali morti vanno difatti nel giro di breve tempo in decomposizione esponendo l’ambiente e gli organismi che ne entrano in contatto al rischio di contaminazioni batteriche o virali o di altri patogeni e quindi a possibili patologie, quali ad esempio l’antrace, grave patologia infettiva acuta causata dal batterio Bacillus anthracis. Lo stomaco degli avvoltoi è però in grado di eliminare gran parte dei patogeni presenti nelle carcasse grazie al suo elevato valore di acidità che attesta il Ph tra poco sopra lo 0 e 2. La presenza degli avvoltoi è dunque fondamentale per contrastare questo rischio nell’ecosistema.

L’India nel 2019 contava più di 500 di milioni di animali da bestiame. La presenza degli avvoltoi ha sempre consentito, soprattutto in un paese con scarse attività di rimozione delle carcasse, lo smaltimento naturale di questi animali una volta giunti a morte. Tuttavia a partire dalla seconda metà degli anni ’90 in breve tempo il numero di avvoltoi in India è andato drasticamente diminuendo fino a superare il 95% di avvoltoi scomparsi. Le cause di questa scomparsa vennero identificate solo grazie ad uno studio del 2004 condotto in Pakistan (Oaks et al., “Diclofenac residues as the cause of vulture population decline in Pakistan.” Nature 427 (6975): 630–633), quando si riuscì a capire che gli avvoltoi venivano avvelenati dalla presenza nelle carcasse di un comune antidolorifico usato in medicina umana e veterinaria: il diclofenac. Questo farmaco antinfiammatorio non steroideo è stato introdotto nel mercato nel 1973 dalla Cyba-Geicy ed è da allora ampiamente utilizzato. In veterinaria il suo uso è più recente ed in India venne utilizzato per la prima volta come trattamento per il bestiame nel 1994. Un avvoltoio che si nutre su una carcassa con residui di diclofenac sviluppa in poche settimane una grave insufficienza renale e gotta viscerale che lo portano a morte. Il declino velocissimo degli avvoltoi in India, probabilmente il più veloce che storicamente si sia registrato tra gli uccelli, ha portato rapidamente alla scomparsa della loro preziosa attività di spazzini e quindi di pulizia dell’ambiente, lasciando che le carcasse rimanessero per lungo tempo nelle aree dove gli animali erano morti.

Lo studio ha preso in considerazione le mappe con i range di distribuzione degli avvoltoi fornite da Bird Life International, le ha suddivise in distretti e ha assegnato ad ogni distretto una categoria di idoneità per gli avvoltoi affetti da diclofenac, arrivando infine a dimostrare come il tasso di mortalità umana sia aumentato del 4,2% in quelle aree idonee agli avvoltoi dove questi ultimi erano scomparsi. La mortalità inoltre è risultata essere ancora più alta in zone densamente popolate come nelle periferie delle città dove queste carcasse rimanevano a lungo. L’assenza del lavoro di pulizia degli avvoltoi ha anche causato indirettamente un aumento delle popolazioni di cani rinselvatichiti e ratti e dell’uso di vaccini anti-rabbica, essendo questi animali vettori della rabbia. Infine in assenza di avvoltoi, quando gli animali morivano in corrispondenza di fiumi o altri corsi d’acqua, la stessa qualità dell’acqua è andata via via peggiorando ed in particolare in riferimento ai due parametri rilevati: l’ossigeno disciolto e i coliformi fecali.

Questo studio dimostra quindi quanto il ruolo ecologico degli avvoltoi rappresenti un efficace ed insostituibile servizio ecosistemico la cui mancanza impatta decisamente anche sulla salute umana. La protezione di questi uccelli nei diversi ambienti ove vivono e in quelli dove possono essere reintrodotti è palesemente la via da seguire.

La scomparsa di specie animali e vegetali può quindi toccarci molto più da vicino di quanto i più possano pensare, perché comunque il vuoto che lasciano può dare spazio ed accelerazione a quei molteplici e spesso imprevedibili fattori di rischio per la nostra stessa sopravvivenza.