L’importanza dei boschi

Con l’assenso del giornale Il Filo pubblichiamo un’intervista di Paolo Chiappe e Erica Tedino al Prof. Alessandro Bottacci, già docente di Conservazione della natura all’Università di Camerino e direttore del Parco delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, avvenuta durante il convegno pubblico sul ruolo delle foreste nel cambiamento climatico svoltosi il 14 ottobre scorso a Greve in Chianti.

VICCHIO – Il 14 ottobre a Greve in Chianti si è svolto un importante convegno pubblico sul ruolo delle foreste nel cambiamento climatico: “Il Contributo delle foreste alla decarbonizzazione”, promosso dalla consigliera regionale Silvia Noferi del M5S e da Marco Cappelletti con il sostegno della Casa del Popolo di Greve. Sono intervenuti quattro noti esperti forestali: Alessandro Bottacci, Fabrizio D’Aprile, Cristiano Manni e Giovanni Mughini. Al centro dell’attenzione del convegno lo stato dei boschi toscani e i problemi che nascono da una gestione per molti aspetti sconsiderata, basata su una visione solo economica miope, non ecologica. Al termine del convegno Paolo Chiappe e Erica Tedino hanno rivolto alcune domande al prof. Alessandro Bottacci, forestale in pensione, già docente di Conservazione della natura all’Università di Camerino e direttore del Parco delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.

Professor Bottacci, si può dire che i boschi italiani aumentano di superficie, ma perdono di qualità? Esiste un problema di consumo dei boschi in Italia e in Toscana?
“L’ultimo inventario forestale del 2015 ha evidenziato un aumento della superficie forestale. Ma nelle superfici sono stati inclusi i terreni ex agricoli colonizzati recentemente dagli alberi, che non possono essere certo considerati boschi, e gli arbusteti o i boschi giovani. Inoltre devono essere detratte le superfici distrutte dalla tempesta Vaia nel 2018 e dai vasti incendi degli ultimi anni.
Il problema è che, a causa di questa enfasi sulla crescita delle superfici, si è ritenuto possibile aumentare i tagli, dimenticando che abbiamo ancora boschi molto poveri di volume e di qualità ambientale. Il volume di un bosco infatti non è dato solo dalla superficie, ma anche dallo spessore, per esempio i querceti del Chianti migliaia di anni fa avevano una altezza media fuori terra di 25 metri e l’apparato radicale aveva una profondità fino a 10 metri. Ora a causa dei tagli a ceduo l’altezza media è di 15 metri e la profondità delle radici arriva massimo fino a 4 metri.
Nonostante ciò la Toscana è la Regione che ha la maggiore superficie forestale e anche il maggiore volume, derivante da una antica tradizione di “buon governo” e di una scuola forestale antica. Purtroppo negli ultimi decenni i toscani sembrano aver dimenticato gli insegnamenti dei nostri avi, aiutati anche da leggi forestali troppo permissive e dal dilagare nei nostri boschi di ditte estranee al territorio e impostate alla ricerca del massimo profitto”.

Che ruolo hanno le foreste in una possibile e auspicabile transizione davvero ecologica, e non solo energetica?
“Le foreste hanno un ruolo fondamentale, a patto che rimangano funzionanti. I benefici ecologici forniti dalle foreste sono tanti ed hanno anche un importante risvolto economico. Le foreste evolute attraggono l’umidità dei mari e la trasportano nelle aree interne, permettendo il ricarico delle falde. Il suolo ed il sottosuolo sono, poi, un enorme serbatoio di acqua che, a costo zero, riesce ad invasare una quantità pari a migliaia di invasi artificiali.
Le foreste producono acqua più fresca (limitando il problema della eutrofizzazione) e più pulita (abbassando i costi di depurazione per ottenere acqua potabile).
Attraverso il processo della traspirazione, regolano la temperatura atmosferica, diminuendo le alte temperature estive e innalzando quelle invernali; questo si riflette su una importante riduzione dei consumi energetici per condizionatori e riscaldamenti. Gli alberi, anche quelli in città, sono condizionatori naturali efficaci e a costo zero.
Infine non si può sottovalutare l’azione di filtro e depurazione dell’aria che passa attraverso le chiome, riducendo sensibilmente le malattie respiratorie e cardiovascolari.
Questi, e molti altri, sono i vantaggi della foresta in una vera transizione ecologica. Su questa transizione occorre indirizzare gli incentivi statali e regionali che invece, in questo momento, alimentano i tagli cedui distruttivi e la filiera delle biomasse forestali per energia con incentivi a pioggia che stanno drogando il mercato forestale e spingono sempre di più a pratiche di utilizzazione come il ceduo e il taglio raso delle fustaie”.

Qual è in generale il ruolo della Dorsale Appenninica? Come mai il parere del Parco Nazionale è stato praticamente estromesso nella procedura di valutazione di incidenza relativa al progetto eolico Giogo di Villore?
“I crinali, insieme ai corsi d’acqua con vegetazione ripariale, rappresentano efficacissimi corridoi ecologici, cioè porzioni di territorio che permettono agli organismi vegetali e animali di muoversi tra un’area naturale ed un’altra. Una delle cause principali di riduzione dell’efficienza di un territorio è la frammentazione, cioè la divisione di un’area naturale unica in tante porzioni più piccole, separate da aree fortemente snaturate dall’azione antropica. I corridoi ecologici permettono di ridurre gli effetti negativi della frammentazione.
Per questo motivo (e non solo) quando ero direttore del Parco nazionale delle Foreste casentinesi, ho espresso parere negativo al megaprogetto delle pale eoliche al Giogo di Villore.
Purtroppo il parere del Parco rappresentava un parere obbligatorio ma non vincolante nella procedura della Regione.
Proprio a causa di questo parere, passato quasi in silenzio nei documenti finali, il Parco è stato oggetto di attacchi molto duri, dimenticando che le considerazioni non sono state frutto di sensazioni, ma di una seria valutazione della realtà ambientale del Parco stesso e dei rischi conseguenti alla realizzazione di questo progetto”.

L’Unione Europea prevede che si aumentino le zone protette in terraferma fino al 30%, in Italia siamo al 10% circa. Il progetto Giogo di Villore è collocato senza scrupoli nel perimetro di un preciso Ambito di Reperimento di nuove zone protette. A che punto allora è la politica protezionistica in Italia e in Toscana?
“Nelle decisioni prevalgono primariamente gli aspetti produttivistici e finanziari a breve termine. Uno degli esempi più eclatanti di questa impostazione è la gestione del vasto patrimonio demaniale forestale regionale, in gran parte ereditato dal Demanio forestale statale. Sia la legge forestale (col relativo regolamento) sia gli indirizzi gestionali dell’Ente Terre Regionali Toscane e del Servizio forestale, sono improntati a considerare le foreste una semplice coltivazione di legno.
Invece, se veramente volessimo ascoltare la voce dell’Unione Europea, la conservazione del trenta per cento del territorio dovrebbe partire proprio dalle aree demaniali regionali, trasformandole in riserve, abbandonando completamente il distruttivo governo a ceduo e iniziando interventi di restauro delle aree degradate o semplificate. Basterebbe osservare l’esempio del demanio statale che nel 1972 ha trasformato tutte le sue aree in riserve naturali”.

Il taglio, o meglio, l’eradicazione di ettari di bosco per costruire impianti energetici non è l’unico problema dei boschi di crinale. In questo periodo sugli stessi crinali mugellani e dintorni è in corso, si sente dire, anche un taglio cosiddetto colturale pluriennale di circa mille ettari.
“Il mio parere è di grande preoccupazione. Le normative, una parte del mondo accademico, una parte dei tecnici, considerano primario il taglio del bosco, specialmente del ceduo. Questa visione, a mio parere, è miope. Il cambiamento climatico indebolisce le foreste e la vastità dei tagli. Le macchine operatrici di elevata produttività hanno grande impatto negativo sul suolo e sull’ecosistema. La risposta del bosco ai tagli è lenta e ritardata, mentre i danni conseguenti a questi tagli sono forti e accelerati”.

Nel convegno di Greve accanto ai problemi ecologici del taglio è stato accennato anche a un problema sociale non indifferente, le ditte che praticano i tagli quasi sempre sono straniere. Esiste certamente un grave problema di legalità.
“Ci sono molti aspetti che predispongono a situazioni borderline delle utilizzazioni. Il primo problema è la verifica delle autorizzazioni richieste e il controllo delle prescrizioni dei piani di taglio. Spesso nessuno valuta in bosco quanto è scritto nelle richieste e nei piani. Il secondo problema è la separazione tra proprietario e utilizzatore. Il rischio è che molto materiale esca dal conteggio e alimenti un fiorente mercato nero, specialmente di legna da ardere. Un terzo problema deriva dalle maestranze impiegate nei tagli. Sempre più spesso si impiegano operai non formati, assunti a nero, privi di dispositivi di protezione individuale e dei mezzi, utilizzati a cottimo senza nessuna tutela”.

Il gruppo industriale che vuol costruire l’impianto eolico sul Giogo si fa forte di tutta la dottrina ufficiale sulla transizione energetica. Secondo il progettista, e secondo la Regione, il danno fatto agli alberi sul crinale dall’impianto è irrisorio rispetto al vantaggio climatico della energia rinnovabile che sarà fornita. “In realtà un vero calcolo energetico completo non è stato fatto o, perlomeno, non ha considerato molti aspetti come la riduzione dei benefici ecosistemici (come ho detto quantificabili economicamente). Si sa che per molti anni della loro durata,  questi impianti servono solo per bilanciare le spese economiche e energetiche per la costruzione. Inoltre la realizzazione di un impianto in un’area di pianura e industrializzata crea molto meno impatto ambientale e molto meno spesa economica rispetto ad un impianto su un crinale coperto da boschi, con ecosistemi evoluti e con condizioni morfologiche decisamente più difficili.
L’energia prodotta con sistemi rinnovabili deve essere sostitutiva di quella prodotta da fonti fossili e non aggiuntiva. Occorre scegliere attività meno energivore, ridurre il consumo energetico e soprattutto gli sprechi. Occorre modificare (o almeno iniziare a modificare) il sistema produttivo e quello dei trasporti.
Il tutto nel rispetto dell’ambiente, che è anche rispetto dell’economia, come più volte accennato precedentemente. Alterare aree naturali, mentre diminuisce decisamente il valore ambientale dell’area, non apporta guadagni tali neanche da pareggiare i danni”.

Quali sono gli interventi sull’uso dei suoli e sulla biodiversità che possono dare il maggiore contributo alla transizione ecologica?
“Penso che per prima cosa dobbiamo fermare lo spreco del territorio. La cementificazione, l’urbanizzazione, la semplificazione dei boschi, la riduzione della biodiversità sono effetti negativi che si ripercuotono sull’assetto energetico, economico, e sociale della nazione. Si tratta di mantenere alta la capacità di resistenza, resilienza ed adattabilità dei territori, considerando che i costi per il recupero dei danni (alluvioni, incendi, uragani, siccità, invivibilità delle città, ecc.) sono decisamente maggiori di quanto sia il guadagno ottenuto con una gestione sconsiderata. Occorre individuare ed applicare una nuova economia che sia all’interno dell’ecologia e non separata da essa. Forse questa visione può sembrare utopistica, ma gli attuali economisti ambientali hanno dimostrato che è decisamente più utopistico seguire una crescita infinita in un mondo finito”.

Il convegno di Greve è stato anche teatro di un forte appello a cambiare il senso comune che vede nel bosco un semplice insieme di alberi. Che ruolo possono avere in questo senso oggi le associazioni e i comitati che chiedono la tutela e la conservazione dei boschi?
“La foresta non è un insieme di alberi, ma una entità complessa composta di piante, suolo, batteri, funghi, specie animali, che si autoregola. Il suolo denudato rischia di essere sottoposto a una erosione e un impoverimento biologico irrecuperabile per secoli. Il cosiddetto bosco ceduo, cioè sottoposto a periodici tagli molto impattanti, ha un grado di biodiversità e fornisce servizi ecosistemici enormemente inferiori a quelli di un bosco maturo di alto fusto. Questo concetto fondamentale è ancora tutt’altro che chiaro al grande pubblico.
Purtroppo dobbiamo combattere contro due grossi problemi.
Il primo è la frammentazione della compagine conservazionistica. Esiste una miriade di associazioni, comitati, gruppi, che si impegnano su problemi puntuali, ma che hanno grande difficoltà a far sentire la propria voce in modo unitario. In questo modo il sistema ha facile gioco nel minimizzare i problemi e nel considerare chi protesta come degli invasati fanatici.
Il secondo problema è che chi vuole massimizzare il proprio profitto è decisamente più potente sia economicamente che nell’ambito dell’informazione. Gli interessi messi in gioco da interventi distruttivi dell’ambiente sono molto grandi e attraggono anche una buona parte del mondo giornalistico, in qualche modo piegando l’opinione pubblica o disorientandola. Gli effetti del cambiamento climatico derivante dalle combustioni, dalla distruzione del territorio, dalla deforestazione e dalla distruzione degli oceani sono ogni giorno sempre più evidenti con frane, alluvioni, uragani, siccità, mancanza di acqua potabile, ma nessuno mette in atto azioni concrete come la riduzione dei tagli e la conservazione delle foreste.
Piuttosto si vedono proposte molto simili a un greenwashing come, per esempio, questa grande campagna sulle piantagioni di alberi. Piantare giovani alberi senza fermare il taglio dei boschi adulti è semplicemente un palliativo”.

La maggioranza che governa in Toscana è all’opposizione del Governo centrale, ma sulle questioni ambientali sembrano esserci ben poche differenze.
“Come ho detto ci sono gruppi di potere che hanno in mano l’informazione e che possono influenzare decisamente anche l’attività di produzione delle leggi facendo spesso convergere destra e sinistra.
Le stesse grandi associazioni ambientaliste tradizionali si comportano spesso in modo titubante nel denunciare attentati alla natura per paura di inimicarsi le fonti di finanziamento. La sola voce chiara e autorevole è quella di Papa Francesco che, con l’Enciclica “Laudato si’”del 2015 e con l’Esortazione apostolica “Laudate Deum” del 2023, ha posto chiaramente lo sguardo sulla priorità della cura del Creato come strumento anche di superamento delle ingiustizie sociali e dei conflitti. Occorre continuare a seminare conoscenza e coscienza fino a che l’opinione pubblica non si sia resa conto della necessità di imboccare rapidamente e decisamente una strada diversa basata sulla ecologia integrale e tenendo conto dei limiti della crescita.

A cura di Paolo Chiappe e Erica Tedino
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 2 Novembre 2023
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