Ricomincio da tre: aquila reale, biancone e nibbio bruno

Rapaci prioritari da proteggere nell’alto trevigiano

Le strategie di protezione degli uccelli da preda, da parte dell’Unione Europea, partono dalle principali minacce che gravano su queste specie estremamente importanti per gli equilibri ecosistemici, come predatori terminali e scavengers, essendo peraltro indicatrici di elevata qualità ambientale. Queste minacce sono: uccisione illegale e avvelenamento, distruzione dell’habitat, elettrocuzione e collisione con i cavi aerei.

Ad esse si aggiunge, in special modo per l’aquila reale, una fruizione turistica della montagna non consona ai principi di tutela ai quali dovrebbero ispirarsi le Zone di Protezione Speciale – come la dorsale prealpina trevigiana -, istituite proprio dalla Direttiva Uccelli (147/2009/CE), per garantire la permanenza degli habitat delle specie inserite in Allegato I. Un altro grave problema, a livello nazionale, è costituito dai cosiddetti “Parchi eolici”, che dei Parchi– intesi come aree istituite per la conservazione della Natura – non hanno nulla, se non il nome, che però, in tal caso, significa distruzione della Natura, visto che è ormai acclarato l’impatto letale – in senso sia letterale che ecologico – che hanno le pale eoliche sugli uccelli da preda, soprattutto se di grandi dimensioni.

Nel territorio dell’Alto Trevigiano, da ormai dieci anni conduco studi su tre specie di rapaci prioritari: aquila reale, biancone e nibbio bruno. Si tratta di tre specie che hanno un ruolo chiave nei rispettivi ecosistemi, e che possono fungere sia da specie ombrello che da specie bandiera, funzionali sia al mantenimento dell’integrità strutturale e funzionale dell’ecosistema, sia alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema dell’ecologia, a 360 gradi.

Aquila reale subadulta in caccia sul Col Visentin (Prealpi Trevigiane) – ph R.Guglielmi

L’aquila reale è presente sulla dorsale prealpina trevigiana con due coppie nidificanti, che si sono riprodotte con successo entrambe per l’ultima volta nel 2021, come ho potuto appurare portando avanti un monitoraggio intensivo, da quattro postazioni simultanee, lungo un fronte di 17 km, con l’ausilio di una dozzina di collaboratori. I due nidi distavano l’uno dall’altro circa 13 km. L’importanza di queste scoperte sta nel fatto che erano perlomeno vent’anni che la specie non veniva indagata assiduamente in questa parte di territorio ai margini dell’areale alpino. Ancora negli anni duemila si pensava che l’aquila reale fosse estinta come nidificante sulle Prealpi trevigiane, visto che l’ultima nidificazione era stata seguita alla fine degli anni ’90 del secolo scorso. Da allora non erano stati fatti ulteriori studi mirati, per cui si è trattato di colmare una vistosa lacuna.

La popolazione di aquila reale, in Italia, versa in uno stato di conservazione favorevole, tuttavia, localmente – ed è questo il caso delle Prealpi trevigiane – sussistono problemi di convivenza con tutta una serie di attività del tempo libero, effettuate in montagna, che vanno inevitabilmente a cozzare con le esigenze di privacy delle coppie territoriali, durante la delicata fase riproduttiva. Il mio studio, infatti, ha dimostrato che i bivacchi estemporanei di escursionisti lungo un sentiero, nei pressi di un nido attivo, hanno provocato dei rientri al nido più ritardati, da parte degli adulti che dovevano alimentare il pullus.

Ancor più grave è stato l’effetto avuto da parapendii, alianti e deltaplani, in sorvolo sulla verticale del nido, con l’allungamento del tempo trascorso fuori dal nido, da parte degli adulti – soprattutto la femmina – durante la cova, con il forte rischio di morte dell’embrione, per raffreddamento.

La situazione è grave, in quanto la dorsale prealpina trevigiana è una ZPS, e, come tale, necessiterebbe di un piano di gestione, attualmente inevaso, di competenza della Regione Veneto, il quale piano contiene tutta una serie di misure atte a minimizzare il disturbo antropico nei confronti delle aquile, durante la nidificazione. Queste misure, attualmente, per i motivi prima esplicitati (leggi: inadempienza della Regione), sono rimaste lettera morta.

Biancone femmina adulta, in volo sui colli trevigiani – ph R.Guglielmi

Non meno preoccupante è la situazione del biancone, che, sebbene sia una specie che ha conosciuto evidentemente una fase di incremento demografico e di espansione dell’areale, in Italia, resta, in questo territorio, quantomai minacciato dall’espansione dei vigneti del prosecco, che sostituiscono sempre di più i boschi collinari termofili selezionati dalla specie per la nidificazione, impoverendo inoltre la qualità del suo habitat, fatto da un mosaico di zone aperte, coltivi, e aree boscate. In un’area di circa 450 km2, esistono solo tre coppie riproduttive di bianconi, una ogni 12 km, laddove, in presenza dell’habitat adatto, dovrebbero/potrebbero esserci nidi ogni 3-4 km almeno. L’espansione agroindustriale, con i suoi veleni chimici, deprime ulteriormente la densità di nidificazione di una specie che, già per motivi ecologici intrinseci, legati al suo ruolo di predatore apicale, è presente con basse densità di popolazione.

Nel 2022, inoltre, forse a causa dell’elevata siccità patita in tutta Italia, ma soprattutto in Veneto, due delle tre coppie di bianconi non si sono riprodotte. In questi anni, grazie alle ricerche e ai monitoraggi assidui presso i nidi, sono stati inoltre prodotti dossier e segnalazioni, inviati alle autorità competenti, per interrompere sbancamenti illegali al piede di colline ospitanti nidi di biancone. Trattandosi di una specie filopatrica, è del tutto evidente che, laddove i siti di nidificazione perdessero i requisiti che finora hanno permesso al biancone la selezione positiva degli stessi, la specie abbandonerebbe per sempre tutta l’area.

Nibbio bruno adulto – ph R.Guglielmi

In ultimo, resta da esaminare la situazione del nibbio bruno, le cui popolazioni sono in crisi in tutta Italia, anche a causa della chiusura attuata per legge delle discariche a cielo aperto, presso le quali molte colonie si alimentavano. Nonostante l’Unione Europea abbia cercato di correre ai ripari con specifici regolamenti, in deroga alle normative di smaltimento dei SOA (Sottoprodotti di origine Animale), consentendone l’utilizzo per sostenere dal punto di vista trofico le popolazioni di rapaci necrofagi o parzialmente tali, come appunto il nibbio bruno, la realtà è che i nibbi hanno abbandonato gran parte del loro areale originario italiano, e questo è successo in pochi decenni. Nell’Alto trevigiano le ricerche sul campo hanno permesso l’individuazione di un nido, costruito su robinia, in zona pedemontana, nel 2021, dal quale si sono involati con successo due giovani, nel mese di luglio.

Complessivamente, quindi, nell’Alto Trevigiano, insistono, con problemi vari, due coppie di aquile reale, tre di biancone e una di nibbio bruno: una situazione che dovrebbe allarmare non poco la collettività, ma che sembra essere ignorata dagli Enti competenti in fatto di tutela e gestione del patrimonio faunistico ed ecologico provinciale e regionale.